venerdì 18 luglio 2025

Foto della famiglia del prozio Luigi - fine anni Venti del Novecento a Clifton - New Jersey (USA )

 

 

 



EMIGRAZIONE - Quando eravamo noi i protagonisti.

L’argomento relativo al movimento delle persone in cerca di lavoro e di una esistenza migliore rispetto ai luoghi di origine è molto delicato da trattare. Infatti, abbiamo a che fare con degli esseri umani ognuno con una propria storia ed esperienza di vita, e non con delle cose inanimate e prive di sentimenti. Ciò premesso, anche nell’ attuale momento storico mi sembra più che giusto ricordare le generazioni del nostro territorio che ci hanno preceduto e hanno dovuto emigrare per trovare una sistemazione migliore alla loro vita e quella delle loro famiglie. Ora, siamo noi ad ospitare e dar lavoro agli stranieri immigrati, mentre per il passato quasi tutte le famiglie del Comelico, del Cadore, dell’ Agordino, dello Zoldano e di tutta la provincia di Belluno a cominciare dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso erano coinvolte nel fenomeno emigrazione. Molti erano i nostri emigranti stagionali nel nord Europa o nell’Austria/Ungheria. A tal proposito un termine usato a fine Ottocento nel dialetto di tutta la provincia di Belluno era “ Esempon” che derivava dal tedesco Eisenbahn ( ferrovia ) che stava a significare coloro che partivano per andare a lavorare nella costruzione delle linee ferroviarie nell’Est Europa. Altri, con l’intera famiglia emigravano in modo permanente in America del nord o America del sud, specialmente Brasile,Argentina e anche in Australia. Alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento chi non aveva la possibilità di allevare dei bovini con il fieno falciato nei prati di valle e di monte, o di coltivare i campi di patate, di segale, di orzo o di granoturco e poter così sopravvivere con i prodotti ricavati dall’avara agricoltura di montagna, per forza di cose doveva ricorrere all’avventura dell’emigrazione, quasi sempre verso l’estero. Quando ero ragazzino ancora si cantava la canzone “mamma mia danni cento lire che in America voglio andar…….”. Emigravano sia i maschi che femmine ed a casa rimanevano i bambini e le persone anziane, i più fortunati dopo anni di duro lavoro potevano rientrare in Patria con qualche risparmio che dava loro la possibilità di condurre una vita migliore; che per noi montanari significava e significa innanzitutto la costruzione o l’ammodernamento della casa di abitazione. Altri si sono stabiliti definitivamente all’ estero ed ora i loro figli e nipoti sono cittadini di quegli Stati che hanno saputo accoglierli e offerto loro un lavoro ed una sistemazione dignitosa. Alcuni discendenti di questi nostri emigranti sono diventati persone autorevoli e con incarichi di responsabilità nelle Nazioni che gli hanno ospitati. C’era anche un’emigrazione interna specialmente nelle città del nord, dove le nostre mamme o nonne si recavano a servizio, a (sarvì ) presso le case di professionisti e/o benestanti del luogo. Già all’ inizio del Novecento in Comelico e anche in tutta la parte alta della provincia di Belluno ( Cadore-Zoldano-Agordino ) le giovani signorine ad anche signore appena sposate, per dare una mano ai magri bilanci familiari cercavano lavoro come donne di servizio o collaboratrice familiari come si dice ora, presso famiglie della pianura. A San Pietro molte persone trovarono lavoro a Milano e il flusso si arrestò solo verso gli anni Sessanta con lo sviluppo della fabbriche di occhiali che impiegava molto personale femminile. Mia mamma mi raccontava che nei primi anni Trenta era andata a servizio in una famiglia di Torino, dove il marito era un alto funzionario dello Stato. Nella stagione estiva la moglie con le due figlie e la donna di servizio villeggiavano per un mese al mare: Spotorno in provincia di Savona ( Liguria ). La mamma mi sempre detto di essere stata trattata con educazione e rispetto e riteneva l’ esperienza positiva sotto ogni punto di vista. Molte nostre giovani donne di allora conobbero il futuro marito in città e misero su famiglia, ma non si dimenticarono di far ritorno al paese durante la vacanze estive. Per rimanere nella mia cerchia familiare, una cugina di mia mamma, Florinda Casanova Municchia ( Linda ), di Costalta si sposò a Milano nel 1927, ebbe tre figli tra cui il famoso pittore surrealista Luigi Regianini. ( Quello del museo di Costalissoio ). Come sappiamo i tempi e le situazioni di vita delle comunità e delle singole persone cambiano, anche se molte volte non ci rendiamo immediatamente conto. Ora difficilmente si parte per andare a fare le colf, però il fenomeno dell’emigrazione ( specialmente all’estero ) dei giovani laureati e/o diplomati che non trovano occupazione in Italia esiste eccome, anche sul nostro territorio. Da noi chi intraprendeva la strada dell’emigrazione lo faceva per lo più con la conoscenza di un mestiere; nel Comelico in modo particolare agli inizi del Novecento c’erano i “clompàr” ovvero artigiani che si erano specializzati nell’aggiustare e stagnare il pentolame e attrezzi vari in rame che allora erano abbondanti in tutte le cucine delle case, alberghi, ristoranti e comunità varie. C’erano poi muratori, carpentieri, minatori, boscaioli, mietitrici di grano eccetera, tutte queste categorie di lavoratori erano per lo più emigranti stagionali. Anche mio nonno materno Evaristo ( classe 1876 ) ha fatto per molti anni il “clompàr” in Austria; tanto è vero che due miei zii sono nati a Jenbach in Tirolo (Austria) nel 1905 e nel 1906. Mi ricordo, che a volte il nonno e la nonna parlavano tra di loro in un tedesco dialettale, di modo che noi ragazzini non capissimo cosa stavano dicendo. La nonna inoltre, cucinava assai spesso dei piatti e dei dolci casalinghi di tipo tirolese, ( che a me piacevano tantissimo ) mettendo in pratica delle ricette che aveva imparato durante l’ emigrazione in Austria. Un fratello di questo mio nonno, Luigi Casanova De Marco classe 1875, emigrò a Clifton nel New Jersey (Stati Uniti) nel 1903 dove l’ anno dopo sposò una emigrante cadorina di Zoppè di Cadore, Maria De Lorenzo, conosciuta sul piroscafo La Gascogne durante la traversata da Le Havre ( Francia ) a New York. Hanno avuto otto figli che a loro volta hanno formato altrettante famiglie oramai sparse in vari Stati degli Stati Uniti d’America. Ricordo che fino agli anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso, specialmente la prima figlia che si chiamava Elda ed era sposata con Placido Pivirotto la cui famiglia era originaria di Vinigo di Cadore veniva spesso in Italia a trovare le cugine e i miei nonni da parte di madre, nonni che l’ avevano ospitata presso di loro a Costalta negli anni della prima guerra mondiale. Elda parlava e scriveva ben l’ italiano avendo fatto le prime classi delle elementari da noi. Nel mese di agosto del 2022 due nipoti del prozio Luigi: Anita e Mark sono venuti dagli Stati Unita a Costalta a far visita ai parenti e conoscere meglio le loro radici familiari. Da parte della famiglia di mio padre mi si raccontava che avevamo dei parenti in Austria a Villack e Klagenfurt perché colà si erano sposate due sorelle di un mia bisnonna che erano emigrate in Carinzia a fine Ottocento. Se poi prendiamo brevemente in considerazione in periodo di tempo che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni Sessanta, dal Comelico e Cadore abbiamo avuto una forte emigrazione in Svizzera, Francia, Germania Federale e Belgio per i minatori; dove purtroppo anche le nostre famiglie dovettero subire i traumi delle tragedie di Marcinelle nel Belgio e di Mattmark in Svizzera. C’è stato anche un flusso di emigrazione interna, specialmente verso le grandi città del nord, Milano Torino e Genova; per tutte voglio ricordare la fabbricazione di banchi frigo in legno a carattere industriale che a Torino impiegò diversa manodopera proveniente dal Comelico. Tanto è vero che l’ attuale industria Epta spa della Val Belluna è direttamente discendente dalla famiglia Costan ( originaria del paese di Costa di San Nicolò Comelico) che da Torino si sono ritrasferiti nei primi anni Settanta a Limana, dando vita ad una industria di notevole successo che ha dato e da lavoro e benessere a tantissime persone del bellunese. Verso la fine degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta ha avuto un grande incremento il mestiere di gelatiere all’estero; specialmente in Germania Federale ma anche in Olanda, però in questo caso molti vi si recavano come imprenditori e non come lavoratori dipendenti anche se la manodopera era quasi completamente italiana. Ho conosciuto bene l’ aspetto economico di questo fenomeno dell’ emigrazione dei gelatieri, in quanto il mio ex mestiere di bancario mi ha portato a contatto con clientela del Cadore, dello Zoldano e di diverse parti del bellunese, per le contrattazioni sul cambio del marco, valuta della Repubblica Federale Tedesca. Quando ho iniziato a lavorare in banca nel 1966 valeva poco oltre le cento lire italiane, mentre alcuni decenni dopo valeva oltre le mille lire. Può essere interessante anche conoscere che nel corso del 1922 le rimesse ufficiali spedite in Patria degli emigranti italiani ammontavano a 61.500.000 di lire, per raggiungere la somma di 133.000.000 di lire nel 1930, nonostante la crisi del 29. Questi semplici dati ci possono rendere testimonianza di quale risorsa economica e anche di miglioramento della qualità della vita sia stata per le passate generazioni la possibilità di emigrare in cerca di un lavoro. Concludendo, penso che quanti sono passati per la strada dell’ emigrazione, per raggiungere il loro obbiettivo hanno dovuto pagare un caro prezzo in lacrime, nostalgia, sacrifici e privazioni di ogni genere che debbono farci riflettere ed esprimere riconoscenza e gratitudine a questi nostri compaesani. Infine, con riferimento all’ emigrazione di casa nostra del secolo scorso, penso sia per noi doveroso riflettere sul corretto comportamento da tenere in merito al fenomeno immigrazione che anche il bellunese sta vivendo da qualche tempo. Tutti possiamo essere d’accordo che chi viene da noi come emigrante ed in cerca di una vita migliore debba essere in possesso di un permesso di soggiorno e non si adatti ad una sopravvivenza nella clandestinità. E’ altrettanto leale e corretto che le imprese che hanno bisogno di manodopera straniera, o le famiglie che ricorrono alle collaboratrici familiari procedano a regolari assunzioni di modo che nessuno sia costretto a lavorare in “nero” o peggio ancora con fenomeni di caporalato che sono estranei alle tradizioni dei nostri paesi.

                                                                                     Gian Antonio Casanova Fuga

venerdì 4 luglio 2025

I CANTIERI SCUOLA NEGLI ANNI SESSANTA. ( vedi foto precedente )



La bella foto di San Pietro e Stavel tratta dalla raccolta di Ernesto Pradetto Roman pubblicata sul nostro bollettino parrocchiale n. 2 / 2020; nella quale si vede bene la vecchia strada che sale a Costalta, mi ha fatto ricordare che sul finire degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, la carrabile di allora fu allargata e resa più comodamente percorribile con il lavoro manuale ( pala, picco e carriola, - non mezzi meccanici- ) dal cantiere scuola.

La strada che porta a Costalta dall’ Ota dla Pala in su era stata rifatta su un tracciato ex novo a cura e spese della Regola di Sant’ Anna.

Vi aveva lavorato l’ impresa Dal Zuffo di Feltre e l’ opera era terminata nella seconda metà degli anni Cinquanta.

Rimaneva da allargare il tratto Ponte Rin ­Ota dla Pala.

Pertanto, anche l’ Amministrazione comunale di San Pietro si era avvalsa della normativa nazionale che con legge del 4/5/1951 n. 456 dava la possibilità alle persone involontariamente disoccupate di svolgere un lavoro stagionale, portando a casa una busta paga, anche se modesta.

In dialetto chi lavorano su questi cantieri veniva identificato come quelli della Tot.

La gente associava il modo di lavorare e le ore di lavoro giornaliero con quanto avveniva poco meno di venti anni prima nei cantieri creati dall’ Organizzazione Todt; impresa di costruzioni della Germania nazista nei vari paesi occupati dalla Wehrmacht.

Ricordo alcuni compaesani di Mare, San Pietro,Valle, Presenaio e Costalta che lavoravano in questo cantiere.

Avevano meno di sessanta anni, ma per aggiungere altre ( marchette), così si chiavavano allora i contributi previdenziali, alla loro posizione INPS e maturare il minimo per andare in pensione, erano ben contenti di prestare la loro opera per l’allargamento della strada dal Gió d Rin.

A quel tempo servivano 35 annualità di contribuzione INPS per poter maturare la pensione di anzianità e sessant’anni di età per la pensione di vecchiaia.

Erano muratori, carpentieri e manovali con buona esperienza nel settore edile ed in gioventù avevano lavorato in diversi posti in Italia ed in giro per il mondo.

A noi adolescenti di allora sembravano già dei “ vecchi” e ogni tanto al bar, ci si divertiva a lanciare qualche “sfottò”, ( in modo bonario e mai offensivo ), a chi

dopo la giornata di lavoro aveva bevuto qualche bicchiere di più e si vantava delle cose fatte durante il proprio turno di lavoro.

All’ epoca erano permessi questi piccoli scherzi nella vita paesana; scherzi che erano tollerati dalle persone coinvolte e finivano in una sana e liberatoria risata, oltre ad una altro gòto (bicchiere) di vino rosso.


Gian Antonio Casanova Fuga


Foto da internet – mercato del bestiame nei prati sotto le vecchie scuole industriali.