Era l’ anno 1957 e dalla
radio e sui giornali ( in modo particolare sulla “ Domenica del Corriere” ) che
era il settimanale più letto in Italia,
apparivano da qualche tempo dei servizi
giornalistici sui lanci dei missili Sputnik da parte dell’ Unione Sovietica.
Infatti, proprio nel novembre dello stesso anno era stata inviata nello spazio
la cagnetta Laika primo essere vivente a provare l’emozione di gravitare nell’
orbita terreste. Anche gli americani che non volevano essere da meno dei
sovietici avevano intensificato questi
tipi di esperimenti con un loro vettore
denominato “Jupiter”
Noi ragazzini eravamo
affascinati da tali imprese ed un bel giorno ci balenò l’ idea di realizzare
anche noi un missile e provare a lanciarlo. All’ epoca in via Piave a Mare nel
garage di proprietà di Livio Danpolin
c’ era l’ officina meccanica gestita da Ivo
Pontil Scala e dal figlio maggiore Rino, il quale ci aiutò a ricavare da un vecchio tubo di
scappamento un missile alto circa una quarantina di centimetri. Il nostro
“prototipo” aveva una perfetta punta ed era sollevato da terra circa cinque
centimetri mediante la saldatura di tre alette direzionali, Era stato dipinto
con dello smalto rosso e portava sul corpo centrale la scritta bianca “ Jupiter
.“ In quell’ estate era ospite presso la
famiglia di Gigetto Pradetto Battel un
loro conoscente di qualche anno più vecchio di noi, egli frequentava i primi
anni di chimica in un istituto tecnico di
Milano e ci insegnò a realizzare un propellente per far decollare il
missile. Con la “complicità” di Ernesto Riva
( figlio del farmacista ) riuscimmo a procuraci gli ingredienti per
la miscela propulsiva che doveva essere collocata all’ interno del missile. Un
bel giorno di settembre io, Ernesto
e Gigetto pensammo che era giunto il momento di
“testare” il nostro lavoro. Inserito il combustibile (una miscela di zolfo e potassio) all’ interno del missile, posizionammo il
“vettore” sulla base di lancio, (si trattava di un “zuco”di legno alto una trentina di centimetri ) e dotatolo di adeguata miccia demmo fuoco alle polveri. Avemmo il
buon senso di ripararci all’ interno della cantina e attraverso una fessura
osservare l’ esito del nostro esperimento. A un certo punto ci fu un botto
simile ad un bomba ed il nostro missile si alzò per alcuni metri da terra,
fummo fortunati perché non volarono schegge metalliche, anche se il missile
ridiscese a terra completamente fessurato ed in alcuni punti aperto dalla forza
esplosiva sprigionata dallo scoppio della polvere chimica. Noi ce la cavammo
con un buon spavento ed una “necessaria “ bugia da raccontare ai genitori che
ci chiedevamo spiegazioni sul forte botto udito anche da loro. Inventammo lì
per lì la scusa che si stava giocando con il carburo, all’epoca molto in voga
nei giochi dei ragazzini. Naturalmente
avevano ragione di preoccuparsi i nostri genitori, queste cose non
andavano e non vanno fatte perché avrebbero potuto causare degli infortuni con
danni fisici irreversibili da sopportare per tutta la vita. In quella occasione
fummo fortunati e dopo tanti anni possiamo confessare la pericolosa marachella,
raccomandando ai ragazzi di oggi di non provare mai esperienze simili.
Gian Antonio Casanova Fuga
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