Leggendo il libro Grande
Guerra Grandi Dolori fatto stampare dal Comune di San Pietro di Cadore nel dicembre 2015, mi sono ritornate
alla mente i racconti sentiti da bambino sulle attività della nostra gente in
questa amena e ridente località di alta montagna.
Val Vissada (Visseda ), è
una specie di anfiteatro erboso leggermente scosceso con un costone alla
sommità del quale si gode un incantevole panorama sul Palombino, la Spina,
Forcella Dignas, la Val di Londo con la malga, quasi tutta la Val Visdende, le Creste di Confine, il Peralba, il gruppo
del Rinaldo, la Terza Piccola. Se poi si prosegue fino alla sella del San
Daniele, verso ovest si vede il gruppo dell’Aiarnola, le Marmarole, l’Antelao e
oltre. Se la giornata è serena e con l’
aria tersa, si vedono in lontananza alcune case di Pieve di Cadore. Arrivando dal
sentiero che parte a forcella Zovo sulla destra troviamo il monte Schiaron ( Sciaron
), a sinistra il San Daniele (San Daniel )e di fronte le Crode dei
Longerin ( Longiarin ), ultimo bastione di roccia dolomitica delle
montagne comeliane.
Nel centro della valle scorre
il Rio Vissada ( Gió d Visseda ) di
discrete dimensioni con un’ acqua buona e fresca che parecchi anni fa era stata
in parte imbrigliata nell’ acquedotto comunale ( che non so se sia ancora in
funzione ). Mentre, l’eccedenza va a formare la cascata del Pissandolo ( Pissandui ).
Non ne sono proprio sicuro;
però, penso di non sbagliarmi di molto se affermo che mio papà e mia mamma
abbiano consolidato il loro rapporto di coppia proprio in Visseda. Infatti, sia la famiglia di mio nonno
Evaristo ( Varisto ) sia la famiglia di mio nonno Antonio ( Tòne
Battiston ) negli anni Trenta avevano un capanno (cadón ) con relativo appezzamento ( colnél ) segativo proprio nel vallone di Vissada (valón d Visseda ). E così è stato
anche per alcune persone di Valle che hanno messo su famiglia a Costalta e
viceversa, con la “complicità” della fienagione di monte. Come si svolgeva la vita
in questo luogo ? Con le prime luci del mattino si provvedeva a falciare l’erba
dato che era bagnata dalla rugiada della notte, quindi meglio predisposta a
lasciarsi tagliare. Poi l’ erba doveva asciugarsi al sole e un volta
leggermente essiccata veniva rastrellata e raccolta zal
balöto (fascio di fieno tenuto assieme con una fune ), quindi ammucchiata
sulla möda dove rimaneva
“immagazzinata” fino all’ arrivo dell’inverno.
Una volta terminato l’
ammassamento del fieno la mӧda veniva ricoperta alla sommità con dei
rami di barancio al fine di proteggere il foraggio dalle intemperie ed in modo
particolare dalla neve. La sera si consumava la modesta cena ( polenta, riso in bianco, formài, pöta d
sorgo ) con la porta dal cadón averta ( aperta).
Si cucinava con la legna
trovata sul posto, pino mugo ( brances ) nel paiolo (códruzo) attaccato ad un travetto del
colmo con la ciadöna da fögo.
Questo tipo di legna,
profumata dalla forte quantità di resina
che contiene, quando viene bruciata rilascia una notevole quantità di fumo.
Dopo aver cenato, i giovani e
le giovani presenti nella valle si radunavano sul costone (coston) ed
improvvisavano canti e canzoni che si sentivano a chilometri di distanza.
Anche se il lavoro quotidiano
era faticoso non mancava mai una nota di allegria e la voglia di stare in
compagnia.
Vissada quegli anni era
punteggiata dai cadógn ( capanni in
legno fatti con materiale di recupero fornito dalle installazioni militari del fronte della
Grande Guerra ). Molte famiglie di
Costalta e di Valle avevano in
“concessione “ un pezzetto di prato da falciare. Il magro foraggio di monte
serviva, anzi, era indispensabile ad
integrare la produzione dei prati di paese ( vare ) per fornire l’alimentazione necessaria alle vacche nel
periodo invernale.
La strada più agevole per
raggiungere Vissada sia da Costalta che da Valle passa da Forcella Zovo ( dóo ) e poi prosegue per la ripida
salita di Pissandui (Pissandolo ), con un bel colpo d’occhio su
Visdende, al termine della quale si sbuca nella valle di Vissada.
Per gli abitanti di Costalta
c’era e c’è tuttora una scorciatoia; il sentiero detto dla Raviss. Sentiero che veniva percorso almeno una volta alla settimina, quando bisognava scendere in paese per
approvvigionarsi di nuovi generi alimentari.
Questo tragitto era anche
molto utilizzato con la gerla (dèi) sulle spalle per andare da Costalta a malga Lòndo
in Val Visdende, a ritirare al formài o
l’ónto ( formaggio e burro ) durante il periodo di monticazione delle
vacche.
Dal costone di Vissada
bisogna salire fino ai piedi del San Daniele, poi si attraversa
un ghiaione molto ripido (la Raviss ) sulla falda del
monte.
In fondo al pendio si
intravede Giò Storto (Rio
Storno) in Comune di San Nicolo Comelico. Una volta attraversato il ghiaione si
arriva su un prato nei pressi del colle dei Pradetti ( zi Pradöte) e scendendo ancora verso Costalta si arriva al
cadón di Sabina. Proseguendo sulla sinistra si passa sot le cròde e si arriva
nuovamente a Forcella Zovo; mentre, proseguendo diritti per sofrera si arriva alla siega
e per strada piana a Costalta: (strada d sote ). C’è anche un altro
percorso, (strada d sora ) che passa da Potreto e Zarnà e
sbocca in Villa, la borgata più alta del paese. Queste erano i
percorsi più corti che facevano i
costaltesi quando da Vissada dovevano recarsi in paese per prendere della cose
e rientrare in giornata.
Il fieno di monte raccolto in
estate e stoccato nella mȍda ( grande covone realizzato attorno ad un palo conficcato nel
terreno attorno al quale si ammucchiava il fieno debitamente pressato ) doveva
essere recuperato nei mesi invernali con la lióda. Quindi, arrivato l’ inverno, dopo aver
battuto il sentiero con le ciaspe ( operazione a cui partecipava tutta
la comunità interessata ) si caricava il fieno sulla slitta (lióda) e si
rientrava in paese, non senza aver affrontato difficoltà e pericoli durante il
tragitto.
La lióda doveva essere portata in Visseda sulle spalle e la discesa per
i Pissaudui con la slitta carica di fieno non era proprio una
passeggiata.
Questa operazione veniva
affidata alle persone giovani e nel pieno delle forze fisiche, che in quegli
anni non mancavano all’interno delle molte famiglie numerose.
Alla fine del mese di luglio
a Vissada matura al garòfal d monte (la nigritella) che è un fiore dal profumo
intensissimo, veniva usato da nostri vecchi come medicamento per fermare le
emorragie di sangue di naso. Termino raccontando un’escursione fatta negli anni
Cinquanta con dei villeggianti che soggiornavano a casa mia a Mare.
Fino a Forcella Zovo siamo
saliti con il motocarro ( Guzzi ) di Bruno dla Pèta ( De Villa Bruno )
da Costalta.
Egli aveva attrezzato il
cassone con delle panche in legno di modo che i passeggeri potessero sedersi e nella
parte anteriore della carrozzeria aveva scritto
“DIO CI GUIDI “. Poi abbiamo proseguito a piedi con lo zaino in spalla,
all’interno del quale avevamo sistemato
la colazione per mezzogiorno, abbiamo percorso la salita del Pissandolo e poi
la comoda pista fatta dal genio militare durante la Grande Guerra. Non è mancata
una visita alla lapide che ricorda i militari morti sotto la slavina del
febbraio 1916 in
Val di Londo ( recentemente restaurata ) che si trova sulla sinistra per chi
sale verso la cima del crinale.
Dopo aver visitato le trincee
che corrono sulla cresta del costone, gli spiazzi dove si trovavano i locali
della compagnia comando e ammirato il sentiero (tréi) che da forcella Longerin porta in Val di Londo e il sentiero
(al tréi dle sterpe) che conduce al
passo del Palombino passando sulle ghiaie del
Longiarin nord. Ci siamo diretti nella parte sinistra del vallone dove c’era e c’e ancora un grande sasso con una
vena d’ acqua potabile. Lì ci siamo fermati a riposare e mangiare la colazione
al sacco.
In quegli anni la valle aveva
ancora tutti i cadógn e molte famiglie continuavano a falciare i prati. I turisti
che avevo accompagnato provenivano dalle città del nord Italia e non finivano
di meravigliarsi e di decantare la bellezza e le caratteristiche del luogo.
Il ritorno a Forcella Zovo lo
abbiamo fatto passando sul ghiaione della Raviss.
Verso la fine gli anni
Sessanta con lo svilupparsi dell’economia locale anche in settori all’infuori
dell’ agricoltura la nostra gente ha
cominciato a non frequentare più Vissada e i capanni ( privi di
manutenzione ) sono andati in rovina. C’era rimasto uno solo, tenuto in
piedi dai pastori che nel periodo estivo hanno sempre continuato a frequentare
la valle. Alcuni anni fa questo capanno è stato
restaurato ed ammodernato su lodevole
iniziativa della Regola di Costalta.
Gian Antonio Casanova Fuga
Nessun commento:
Posta un commento