martedì 16 gennaio 2018

V I S S A D A



Leggendo il libro Grande Guerra Grandi Dolori fatto stampare dal Comune di San Pietro di Cadore  nel dicembre 2015, mi sono ritornate alla mente i racconti sentiti da bambino sulle attività della nostra gente in questa amena e ridente località di alta montagna.
Val Vissada (Visseda ), è una specie di anfiteatro erboso leggermente scosceso con un costone alla sommità del quale si gode un incantevole panorama sul Palombino, la Spina, Forcella Dignas, la Val di Londo con la malga, quasi tutta la Val Visdende,  le Creste di Confine, il Peralba, il gruppo del Rinaldo, la Terza Piccola. Se poi si prosegue fino alla sella del San Daniele, verso ovest si vede il gruppo dell’Aiarnola, le Marmarole, l’Antelao e oltre. Se la giornata è serena e con  l’ aria tersa, si vedono  in lontananza  alcune case di Pieve di Cadore. Arrivando dal sentiero che parte a forcella Zovo sulla destra troviamo il monte Schiaron  ( Sciaron ), a sinistra il San Daniele (San Daniel )e di fronte le Crode dei Longerin ( Longiarin ), ultimo bastione di roccia dolomitica delle montagne comeliane.
Nel centro della valle scorre il Rio Vissada ( Gió d Visseda ) di discrete dimensioni con un’ acqua buona e fresca che parecchi anni fa era stata in parte imbrigliata nell’ acquedotto comunale ( che non so se sia ancora in funzione ). Mentre, l’eccedenza va a formare la cascata del Pissandolo ( Pissandui ).
Non ne sono proprio sicuro; però, penso di non sbagliarmi di molto se affermo che mio papà e mia mamma abbiano consolidato il loro rapporto di coppia proprio in  Visseda.  Infatti, sia la famiglia di mio nonno Evaristo ( Varisto ) sia la famiglia di mio nonno Antonio ( Tòne Battiston ) negli anni Trenta avevano un capanno  (cadón ) con relativo appezzamento ( colnél ) segativo proprio nel vallone di Vissada  (valón d Visseda ). E così è stato anche per alcune persone di Valle che hanno messo su famiglia a Costalta e viceversa, con la “complicità” della fienagione di monte.  Come si svolgeva la vita in questo luogo ? Con le prime luci del mattino si provvedeva a falciare l’erba dato che era bagnata dalla rugiada della notte, quindi meglio predisposta a lasciarsi tagliare. Poi l’ erba doveva asciugarsi al sole e un volta leggermente essiccata veniva rastrellata e raccolta  zal balöto (fascio di fieno tenuto assieme con una fune ), quindi ammucchiata sulla möda dove rimaneva “immagazzinata” fino all’ arrivo dell’inverno.
Una volta terminato l’ ammassamento del fieno la mӧda veniva ricoperta alla sommità con dei rami di barancio al fine di proteggere il foraggio dalle intemperie ed in modo particolare dalla neve. La sera si consumava la modesta cena ( polenta, riso in bianco, formài, pöta d sorgo ) con la porta dal cadón averta ( aperta).
Si cucinava con la legna trovata sul posto, pino mugo ( brances ) nel paiolo (códruzo) attaccato ad un travetto del colmo con la ciadöna da fögo.
Questo tipo di legna, profumata dalla forte quantità di  resina che contiene, quando viene bruciata rilascia una notevole quantità di fumo.
Dopo aver cenato, i giovani e le giovani presenti nella valle si radunavano sul costone (coston) ed improvvisavano canti e canzoni che si sentivano a chilometri di distanza.
Anche se il lavoro quotidiano era faticoso non mancava mai una nota di allegria e la voglia di stare in compagnia.
Vissada quegli anni era punteggiata dai cadógn ( capanni in legno fatti con materiale di recupero fornito dalle  installazioni militari del fronte della Grande Guerra ). Molte famiglie di Costalta e di Valle  avevano in “concessione “ un pezzetto di prato da falciare. Il magro foraggio di monte serviva, anzi,  era indispensabile ad integrare la produzione dei prati di paese ( vare ) per fornire  l’alimentazione necessaria alle vacche nel periodo invernale.
La strada più agevole per raggiungere Vissada sia da Costalta che da Valle passa da Forcella Zovo  ( dóo ) e poi prosegue per la ripida salita di Pissandui  (Pissandolo ), con un bel colpo d’occhio su Visdende, al termine della quale si sbuca nella valle di Vissada.
Per gli abitanti di Costalta c’era e c’è tuttora una scorciatoia; il sentiero detto  dla Raviss.  Sentiero che veniva percorso  almeno una volta alla settimina, quando  bisognava scendere in paese per approvvigionarsi di nuovi generi alimentari.
Questo tragitto era anche molto utilizzato con la gerla (dèi) sulle spalle per andare da Costalta  a malga Lòndo in Val Visdende, a ritirare al formài o l’ónto ( formaggio e burro ) durante il periodo di monticazione delle vacche.
Dal costone di Vissada bisogna salire fino ai piedi del San Daniele, poi si  attraversa  un ghiaione molto ripido (la Raviss ) sulla falda del monte.
In fondo al pendio si intravede Giò Storto (Rio Storno) in Comune di San Nicolo Comelico. Una volta attraversato il ghiaione si arriva su un prato nei pressi del colle dei Pradetti ( zi Pradöte)  e scendendo ancora verso Costalta si arriva al cadón di Sabina. Proseguendo  sulla sinistra si passa sot le cròde  e si arriva nuovamente a Forcella Zovo; mentre, proseguendo diritti per sofrera si arriva alla siega e per strada piana a Costalta: (strada d sote ). C’è anche un altro percorso, (strada d sora ) che passa da Potreto e Zarnà e sbocca in Villa, la borgata più alta del paese. Queste erano i percorsi  più corti che facevano i costaltesi quando da Vissada dovevano recarsi in paese per prendere della cose e rientrare in giornata.
Il fieno di monte raccolto in estate e stoccato nella mȍda  ( grande covone  realizzato attorno ad un palo conficcato nel terreno attorno al quale si ammucchiava il fieno debitamente pressato ) doveva essere recuperato nei mesi invernali con la lióda.  Quindi, arrivato l’ inverno, dopo aver battuto il sentiero con le ciaspe ( operazione a cui partecipava tutta la comunità interessata ) si caricava il fieno sulla slitta (lióda) e si rientrava in paese, non senza aver affrontato difficoltà e pericoli durante il tragitto.
La lióda  doveva essere portata in Visseda sulle spalle e la discesa per i Pissaudui con la slitta carica di fieno non era proprio una passeggiata.
Questa operazione veniva affidata alle persone giovani e nel pieno delle forze fisiche, che in quegli anni non mancavano all’interno delle molte famiglie numerose.
Alla fine del mese di luglio a Vissada  matura al garòfal d monte (la nigritella) che è un fiore dal profumo intensissimo, veniva usato da nostri vecchi come medicamento per fermare le emorragie di sangue di naso. Termino raccontando un’escursione fatta negli anni Cinquanta con dei villeggianti che soggiornavano a casa mia a Mare.
Fino a Forcella Zovo siamo saliti con il motocarro ( Guzzi ) di Bruno dla Pèta ( De Villa Bruno ) da Costalta.
Egli aveva attrezzato il cassone con delle panche in legno di modo che i passeggeri potessero sedersi e nella parte anteriore della carrozzeria aveva scritto  “DIO CI GUIDI “. Poi abbiamo proseguito a piedi con lo zaino in spalla, all’interno del quale avevamo  sistemato la colazione per mezzogiorno, abbiamo percorso la salita del Pissandolo e poi la comoda pista fatta dal genio militare durante la Grande Guerra. Non è mancata una visita alla lapide che ricorda i militari morti sotto la slavina del febbraio 1916 in Val di Londo ( recentemente restaurata ) che si trova sulla sinistra per chi sale verso la cima del crinale.
Dopo aver visitato le trincee che corrono sulla cresta del costone, gli spiazzi dove si trovavano i locali della compagnia comando e ammirato il sentiero (tréi) che da forcella Longerin porta in Val di Londo e il sentiero (al tréi dle sterpe) che conduce al passo del Palombino passando sulle ghiaie del Longiarin nord. Ci siamo diretti nella parte sinistra del vallone dove  c’era e c’e ancora un grande sasso con una vena d’ acqua potabile. Lì ci siamo fermati a riposare e mangiare la colazione al sacco.
In quegli anni la valle aveva ancora  tutti i cadógn e molte famiglie continuavano a falciare i prati. I turisti che avevo accompagnato provenivano dalle città del nord Italia e non finivano di meravigliarsi e di decantare la bellezza e le caratteristiche del luogo.
Il ritorno a Forcella Zovo lo abbiamo fatto passando sul ghiaione della Raviss. 
Verso la fine gli anni Sessanta con lo svilupparsi dell’economia locale anche in settori all’infuori dell’ agricoltura  la nostra gente ha cominciato a non frequentare più Vissada e i capanni  ( privi di  manutenzione ) sono andati in rovina. C’era rimasto uno solo, tenuto in piedi dai pastori che nel periodo estivo hanno sempre continuato a frequentare la valle. Alcuni anni fa questo capanno è stato  restaurato ed ammodernato su lodevole  iniziativa della Regola di Costalta.

                                                                           Gian Antonio Casanova Fuga




        

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