Seconde
case solo su immobili preesistenti e conservazione
delle
poche zone non edificate
Da cittadino amante della propria terra vorrei esprimere
alcune considerazioni in merito alla qualità paesaggistica e alla conseguente
destinazione urbanistica dei nostri paesi e vallate nel prossimo futuro.
Da oltre un ventennio assistiamo ad un’accelerazione
del fenomeno di lottizzazione, edificazione e vendita di seconde case, con
costruzioni di condomini le cui unità immobiliari sono progettate con superfici
ridotte, perché più facilmente commerciabili.
I terreni che
prima erano destinati a prato, anche se molte volte incolti o non ben coltivati
sono stati cementificati, e i progetti dei fabbricati in corso di costruzione
consegnati alle agenzie immobiliari per la vendita “ sulla carta “ come seconde
case.
. Ebbene, questo modo di procedere, se da un
lato ha offerto possibilità di lavoro agli operatori del ramo edile e di ottimi
guadagni per chi ha venduto i fondi per il rifabbrico, (oltre ad aver portato
agli enti locali parecchi soldi per rilascio dei permessi di costruzione) dall’
altro lato ha avuto come contropartita la
vendita, o meglio la svendita del
territorio, con implicazioni di non poco conto sul quel modo di vivere semplice, fatto di mestieri e
occupazioni tradizionali, di relazione tra le persone improntate alla
solidarietà tipiche della gente che vive nelle valli montane.
Questo
fenomeno di continua espansione edilizia non rapportato alla popolazione residente,
tanto è vero che in certi paesi i vani
disponibili sono il doppio o il triplo degli abitanti, ha come conseguenza l’
impoverimento materiale ed immateriale degli abitanti della montagna.
Inoltre, l’aumento dei prezzi al metro quadro delle
abitazioni esistenti, dovuto al rifabbrico intensivo, porta il valligiano a non
essere più in grado di far fronte alle spese di successione e/o divisione
tra consorti a seguito della morte dei familiari.
Quindi, lo
stesso è costretto a vendere gli immobili ereditati e spostarsi in zone meno
pregiate sotto il profilo urbanistico.
Le
suddette considerazioni mi portano ad auspicare che sarebbe opportuno, d’ora in
avanti, permettere la trasformazione in seconde case unicamente di immobili
preesistenti, disincentivando la costruzione di fabbricati ex novo a
destinazione appartamenti per vacanze.
Le nuove costruzioni su zone con terreni
“vergini”ovvero privi di opere di urbanizzazione dovrebbero comprendere
solamente alberghi o strutture ricettive a servizio del turismo, di modo che la
loro realizzazione sia finalizzata alla creazione di posti di lavoro in loco
per i residenti.
Fra poco
saranno completate le formalità per il censimento nel catasto fabbricati dei “tabià”
che hanno perso il requisito di ruralità, disposizioni più volte prorogate nel
corso degli anni.
Ebbene, queste
misure prevedono che chi possiede uno stavolo o fienile debba rivolgersi ad un
tecnico e farsi fare la planimetria dell’immobile che verrà così censito nel catasto fabbricati.
Dopo di che
il rustico avrà una propria rendita
catastale e potrà avere un uso disgiunto dal fondo
al quale in origine era destinato a fungere da bene strumentale.
Quindi, questi immobili diventati un bene
autonomo rispetto al fondo agricolo
saranno più
facilmente trasferibili nel mercato della compravendita dei rustici uso casa
per villeggiatura.
Non resta
che sperare che una volta terminato il censimento non parta una corsa alla
vendita dei “ tabià” ed alla loro
trasformazione in tante abitazioni secondarie di non residenti.
Le nostre Amministrazioni comunali ed in modo
particolare le Regole, che per statuto sono tenute a tramandare alle
generazioni future le antiche tradizioni, debbono esercitare adeguate pressioni
sugli enti che regolamentano la materia urbanistica, di modo che quello che
rimane del nostro patrimonio così ricco
di storia e tradizione venga assolutamente conservato.
Specialmente
le poche zone rimaste incontaminate e che servono da polmone verde allo
sviluppo turistico dei nostri paesi, non devono assolutamente entrare nell’ottica
speculativa delle nuove costruzioni o trasformazioni edilizie ad ogni costo,
pena l’ulteriore e definitivo impoverimento della montagna e dei sui abitanti.
Possiamo trovare una recente e sensata regolamentazione
in tal senso, nella delibera consigliare del comune di Pieve di Livinallongo dello
scorso mese di aprile, decisione con la quale si impone il rispetto di
stringenti regole in materia urbanistica a tutela del territorio.
Come sappiamo anche Cortina da un po’ di
tempo ha intrapreso con successo una battaglia per porre un freno alla
costruzione delle seconde case per non residenti.
Ritengo che in molti Comuni cadorini si debba
discutere e confrontarsi sull’argomento, per poi prendere una saggia decisione
su come muoversi per il futuro.
Gian
Antonio Casanova Fuga
.
Mio articolo pubblicato su il Cadore il luglio 2009.
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